Una piccola riflessione, stimolata in parte dal momento particolare che stiamo vivendo da un po’ di tempo.
Alcuni giorni fa, con molta tristezza, siamo stati costretti ad un “parziale” trasloco dalla sede che ha visto nascere il gruppo Claet quasi 25 anni fa e che per tutti questi anni ci ha visto crescere, lavorare e fare teatro. La scuola che ci ospita, in nome della necessità di utilizzare tutti gli spazi disponibili a fini didattici, ha progressivamente ridotto lo spazio a nostra disposizione: fino ad alcuni anni fa occupavamo una stanza piuttosto grande che con il tempo si è ridimensionata in una stanza più piccola (nella quale abbiamo dovuto stivare i nostri oggetti di scena, costumi, armadi, ecc.); ora, ci hanno chiesto di sgombrare anche questa stanza, della quale ci è rimasto soltanto l’uso del perimetro (ma cosa vorrà dire poi? Mah…) e un angolo dove abbiamo potuto lasciare solo alcuni armadi. Tutti gli altri armadi, le attrezzerie, le scenografie, abbiamo dovuto spostarli altrove.
A parte tutte le complicazioni di carattere pratico e logistico, che sono comunque importanti perché trovare un posto dove stivare tutto ciò che nella scuola non può più stare non è stato esattamente facile, quello che ovviamente ci fa malinconia e tristezza è l’aver visto la progressiva ed inesorabile riduzione ai minimi termini di uno spazio che per 25 anni è stato il “nostro” spazio, il luogo dove siamo cresciuti come individui, come attori e come performers teatrali, dove ci siamo divertiti e arrabbiati, dove abbiamo inventato nuove cose e dato fondo a tutta la nostra fantasia ed energia. Uno spazio, tra l’altro, per la cui efficienza abbiamo contribuito con il nostro lavoro, rimboccandoci le maniche per tenerlo pulito ed ordinato, ma anche economicamente, accollandoci alcune piccole e grandi spese.
La nostra speranza, ora, è che questo non sia l’ennesimo passo verso l’uscita definitiva, e che come accaduto più volte in passato si trovi anche questa volta il modo per far coesistere le nostre necessità con quelle della scuola e del personale didattico.
Comunque vadano le cose in futuro, crediamo tuttavia che il nostro pubblico e noi stessi dovremo abituarci ormai ad un teatro sempre più minimale, figlio della necessità di adattarsi non solo a spazi più piccoli dove effettuare le nostre performance, ma anche dove stoccare le nostre scenografie, i costumi, le attrezzerie e l’oggettistica. Per una compagnia piccola e povera di risorse (ma ricchissima di idee ed entusiasmo…) come la nostra, l’adattarsi a questa esigenza è da sempre un must: per “Xanax”, spettacolo pluripremiato ed arrivato ormai ad un numero di repliche che non riusciamo più a contare, tutte le scenografie necessarie entrano in una sola valigia, mentre per “12” abbiamo speso poco meno di 1000 euro in scenografie salvaspazio e minimali (tavoli pieghevoli e sedie).
Pochi oggetti, leggeri e poco ingombranti, con i quali, grazie ad un po’ di creatività e alla fantasia dei nostri spettatori, siamo riusciti a ricreare ambienti complessi, l’ascensore di un grande ufficio come la sala riunioni di una giuria di tribunale… ma d’altra parte, il teatro è finzione, e il successo di Xanax e di 12 ci ha dimostrato per l’ennesima volta che non è necessario costruire scenografie mirabolanti spendendo decine di migliaia di euro per creare spettacoli belli, divertenti ed apprezzati dal pubblico.
Insomma, noi siamo abituati a stare in poco spazio, sia in scena che nelle nostre sedi… e siamo pronti ad accettare la sfida dell’ennesimo restringimento.
In fondo, altri prima di noi ci sono riusciti… e con grandi vantaggi! 😉
Oggi ci sentiamo un po’, con le dovute differenze, come Pozzetto nel “Ragazzo di campagna”…speriamo di non restringerci ancora!
Taac!!!