Ciao a tutti è da un po’ che non mettevamo mano al blog vero?
Prima di “addentrarci” sul tema che vogliamo affrontare in questo post, ci sembra opportuno segnalare che la nostra ragione sociale che dalla nostra nascita, nel lontano 1987, è coincisa con la scuola elementare Mercantini di Palombina nuova di Ancona cambia casa.
Ciò anche se operativamente manterremo provvisoriamente l’uso della palestrina della stessa scuola per le prove di teatro fino a fine gennaio 2015 e poi si vedrà.
Tra le altre cose ci sembra giusto ricordarvi che la nostra corale, già da qualche tempo, è stata soppressa per mancanza di spazi per poter operare.
Detto ciò per amor di “cronaca” partiamo!
Premessa
Il bisogno di scrivere questo post, oltre che per tornare a parlare dopo un po’ di tempo di silenzio, nasce dall’esigenza di provare a chiedervi aiuto a fare un po’ di chiarezza su una questione che ci sta particolarmente a cuore e su cui crediamo ci sia parecchia confusione.
Cosa significa essere ed operare in qualità di associazione non a scopo di lucro o non profit?
Il motivo di questa richiesta risiede nella voglia di provare a capire meglio le peculiarità della categoria a cui apparteniamo cosicché potranno risultarci più chiare molte più questioni.
Cos’è oggi il Claet
La nostra associazione culturale è stata creata come una persona giuridica cosiddetta “non a scopo di lucro”.
Ha sempre operato per gli scopi indicati nello statuto, investendo nelle attività affini alle proprie caratteristiche che sono: teatro, musica etc a scopo ricreativo, formativo e sociale.
Gli introiti delle attività su indicate, frutto di saggi, spettacoli ed iniziative culturali etc sono sempre andati a confluire nelle casse Claet, senza che alcun socio abbia mai percepito nulla, al di là di eventuali rimborsi per le spese sostenute per nome e conto dell’associazione stessa.
Leggendo, copiando e incollando da wikipedia effettivamente ci sembra che tale impostazione della gestione della nostra associazione sia quindi perfettamente in linea con quanto qui di seguito indicato in relazione alla definizione di associazione non profit:
in diritto, il problema affrontato dalla dottrina si è fondamentalmente incentrato sulla corretta definizione dell’ente non profit.
Rispetto al tradizionale concetto di assenza di fini di lucro, già in rodato uso ad esempio per alcune persone giuridiche come la società cooperativa o l’associazione (casi nei quali residua, legittimamente, un almeno indiretto interesse personale dei soci o comunque dei sodali), la locuzione sottintende (nell’accezione più comune in Italia) che l’organizzazione abbia finalità vocatamente solidaristiche, che non vi sia distribuzione di utili ai soci, che anzi qualsiasi utilità prodotta (anche nella forma di beni o servizi) sia destinata con carattere di esclusività in favore di terzi, e che non svolga attività commerciali se non limitatamente ad azioni meramente strumentali al conseguimento degli scopi sociali.
I dubbi
Tuttavia continuando la lettura, sempre sulla medesima piattaforma, sorgono dei dubbi.
Ad esempio quando si tratta di associazioni di promozione sociale alla quale possiamo sentirci abbinabili, ecco cosa dice wikipedia:
le associazioni di promozione sociale possono essere definite quelle organizzazioni in cui individui si associano per perseguire un fine comune non di natura commerciale.
La loro valenza “sociale” deriva dal fatto che esse non sono assimilabili a quelle associazioni che hanno come finalità la tutela esclusiva di interessi economici dei membri (come ad esempio avviene per associazioni sindacali, di partito o di categoria).
Le caratteristiche e il ruolo svolto dalle associazioni di promozione sociale sono molto vicine a quelle delle organizzazioni di volontariato, le differenze risiedono nella possibilità di remunerare i propri soci e nella valenza mutualistica dei servizi, anche se è indubbio che oggi le associazioni non si limitino solamente alla mera soddisfazione degli interessi e dei bisogni degli associati, ma abbiano sviluppato una forte apertura al sociale operando promozioni della partecipazione e della solidarietà attiva.
Abbiamo capito bene?
…”possibilità di remunerare i propri soci”..?
In che senso? Quali le caratteristiche?
Sempre da wikipedia copiamo e incolliamo qui di seguito il riferimento alla declinazione “non profit” cosiddetta “Imprese sociali” alla quale anche in questo caso ci sentiamo “vicinissimi”:
sempre di più a partire dagli anni 80 si sono venute affermando forme imprenditoriali e organizzative create per perseguire finalità sociali operando all’interno del mercato concorrenziale.
La forma giuridica che risponde a queste esigenze è quella dell’impresa sociale, che comprende tutte quelle imprese private, comprese le cooperative, in cui l’attività economica d’impresa principale è stabile e ha per oggetto la produzione e lo scambio di beni e servizi di utilità sociale e di interesse generale.
Si distingue così per la prima volta il concetto di imprenditoria da quello di finalità lucrativa: si riconosce l’esistenza di imprese con finalità diverse dal profitto.
Il valore aggiunto rispetto a un’impresa tradizionale sta nel tentativo di produrre servizi ad alto contenuto relazionale, nel cercare di fare “rete” con esperienze del terzo settore, nel produrre esternalità positive per la comunità; fondamentali sono la promozione dello sviluppo locale, la garanzia di democraticità dell’organizzazione e di un coinvolgimento diretto dei lavoratori nella gestione, l’adozione di valori quali la giustizia sociale, le pari opportunità e la riduzione delle diseguaglianze.
La disciplina di questi enti contenuta nella l.118/05 è stata resa organica e attuale tramite il d.lgs.155/06 .
L’impresa sociale può operare nei seguenti ambiti di attività:
- assistenza sociale
- assistenza sanitaria e socio sanitaria
- educazione
- istruzione
- tutela ambientale
- tutela dei beni culturali
- formazione universitaria
- formazione extrascolastica
- turismo sociale
Le deduzioni
Fermo restando che il panorama dell’associazionismo “non a scopo di lucro” è variegato e molto complesso, fatto che già di suo, forse, meriterebbe una riflessione, in ogni caso dopo quanto letto sopra ci permettiamo di sottoporvi alcune considerazioni che per così dire “sorgono spontanee”.
In qualità di associazione non profit
Se organizzassimo delle attività teatrali ai fini della tutela di beni culturali o al fine della promozione del turismo sociale, ci viene in mente in un certo senso il festival “Ankon d’oro” che già curiamo, avremo diritto di remunerare i nostri soci, poiché le finalità possono comprendere alcuni dei suddetti scopi?
E se attivassimo un corso di formazione teatrale all’università della terza età avremo diritto di poter remunerare i nostri membri che verrebbero coinvolti in questo tipo di progetto?
Tra l’altro godendo di tutta una serie di vantaggi dati proprio dall’essere non profit?
Lo chiediamo poiché, anche se ognuno di noi per vivere fa un altro mestiere spesso ben più tartassato di imposte etc, ci farebbe comodo capire come stanno esattamente le cose.
Chi siamo noi, e a che cosa possiamo ambire?
E’ sufficiente un progetto a sostegno dell’istruzione ad esempio e così il non profit diventa “profit di fatto o profit mascherato bene”?
A cosa ci capita di assistere
Facendo parte della F.I.T.A. e prendendo parte alle riunioni etc con una certa regolarità, sentiamo continuamente parlare e nominare alcuni sedicenti professionisti che si “nasconderebbero” fra le fila di chi, ad esempio come noi, fa teatro o cultura o qualunque altro tipo di attività SOLO per passione e non come professione!
Ovviamente ciò per approfittare di tutti i vantaggi, sgravi etc. riservati a chi invece si attiva SOLAMENTE per il bene della propria associazione e della collettività tutta, con tutto ciò che questo comporta.
Ora c’è forse un po’ più chiaro paradossalmente, come mai ci siano sempre più furbetti in giro che svolgono una vera e propria professione mascherati da dilettanti allo sbaraglio sociale!
Infilarsi fra le maglie di questo mare magnum dell’associazionismo, fare gli affari propri, intascarsi cifre indebite, pagare meno tasse e risultare perfettamente in regola sembra davvero fin troppo facile!
O siamo noi troppo catastrofisti, cattivi e invidiosi?
Infine mettiamoci anche dalla parte dell’impresa o del professionista tradizionale
Perché uno psicologo che fa sostegno alle famiglie ed ai bambini di una scuola, ad esempio, non deve essere considerato al pari di chi fa formazione, sostegno o qualunque altro tipo di attività “non profit” finalizzata al benessere e alla corretta crescita e sviluppo dell’infanzia?
Al professionista appena citato, non converrebbe aprire un’associazione non a scopo di lucro e presentare un progettone dalle indispensabili finalità sociali?
Una compagnia teatrale professionista o un gruppo musicale tradizionale non potrebbe convertirsi in un’associazione “non a scopo di lucro”?
Infatti con i giusti escamotages potrebbe remunerare comunque i propri componenti con un grandissimo risparmio (o guadagno) in termini di tributi etc.
Addirittura potrebbe presentarsi in gara/concorrenza “sul mercato” in maniera più competitiva sia sul fronte degli stessi professionisti, in questo caso con tariffe più competitive e sia sul fronte degli “amatoriali” proponendo, a parità di costo, una qualità ovviamente più alta!
Purtroppo a quanto detto bisogna togliere i condizionali e sostituirli con il presente, poiché ciò che abbiamo ipotizzato nelle righe precedenti, costituisce un fenomeno in continua crescita.
E tutto proprio mentre chi si trova sugli altri fronti (professionisti onesti e associazioni autentiche), continua a interrogarsi su che cosa rappresenti veramente per la collettività e che cosa debba fare per meritarsi le tutele e le garanzie che gli dovrebbero essere riconosciute per operare nel rispetto della proprie identità.
Voi che ne dite, potete aiutarci a fare un po’ di chiarezza, chi siamo noi veramente? 😉